IX Convegno internazionale ARISTEC
Scienza giuridica, interpretazione e sviluppo del diritto europeo
09-–11 giugno 2011, Università Roma Tre[1]
1. Presso la Sala del Consiglio della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi Roma Tre, nei giorni 09–11 giugno 2011, si è tenuto il IX convegno internazionale ARISTEC dal titolo “Scienza giuridica, interpretazione e sviluppo del diritto europeo”.
Con la scelta del tema, il Comitato direttivo ha inteso indirizzare la riflessione su problematiche di evidente attualità: in un universo composito e pluralista, è alla scienza giuridica che spetta il compito di garantire l’armonioso raccordo tra i formanti dell’ordinamento e di ricondurre a unità l’insieme complesso dei modi di produzione del diritto.
Il dialogo costante tra studiosi di diverse discipline e Paesi, di cui l’Aristec si è fatta promotrice da ormai quasi venti anni, costituisce sotto questo profilo un importante contributo alla ri-fondazione di una scienza giuridica comune che non si nutra solo delle suggestioni del passato, ma sappia, soprattutto, guardare al futuro.
I lavori si sono aperti con il saluto di Guido Fabiani, rettore dell’Università degli Studi di Roma Tre, che ha evidenziato l’importanza e l’attualità delle tematiche oggetto del convegno. Il Rettore ha voluto ricordare in particolar modo il fondamentale apporto fornito dalla professoressa Letizia Vacca e dal Centro di Eccellenza in Diritto Europeo “Giovanni Pugliese” allo studio e alla riflessione sullo stato del diritto attuale, in un’ottica scientificamente rigorosa e interdisciplinare.
La parola passa poi al preside della Facoltà di Giurisprudenza, il professor Paolo Benvenuti, che riprende le considerazioni già fatte dal Rettore per rimarcare l’attualità del tema dei rapporti tra scienza giuridica, interpretazione e sviluppo del diritto europeo. «Ragionare sull’interpretazione» ricorda il Preside, «è ragionare sul mondo che cambia», perché l’interpretatio altro non è se non un formidabile riduttore della complessità normativa.
Terzo e ultimo intervento nel quadro della presentazione dell’incontro è quello della professoressa Letizia Vacca, già Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi Roma Tre e professore ordinario di Diritto Romano. La professoressa Vacca ricorda come quello tra teoria e pratica debba essere un percorso (e un rapporto) circolare, poiché fine primario della scienza deve essere proprio quello di volgersi alla prassi per individuarne le modalità di indirizzo. Se il giurista europeo è tale solo in quanto possieda uno strumentario interpretativo adeguato, quest’ultimo non può che essere la risultante di una scienza giuridica comune.
Segue l’introduzione generale del convegno curata dal professor Carlo Augusto Cannata.
L’intervento del professor Carlo Augusto Cannata muove prima di tutto da una raffinata riflessione semantica: l’essere ‘linguaggio’ del diritto, nei fatti, importa in modo inesorabile il doversi confrontare, al momento della sua applicazione, con le anfibolie e le ambiguità di un testo.
Il professor Cannata ricorda le parole di Giuliano in D. 1,3,10: Neque leges neque senatus consulta ita scribi possunt, ut omnes casus qui quandoque inciderint comprehendantur, sed sufficit ea quae plerumque accidunt contineri.
Quello del giurista romano è – sottolinea il relatore – un monito tanto per il legislatore che per l’interprete, poiché mai si avrà, all’interno dell’ordinamento, una legge in grado di anticipare in modo puntuale l’infinità dei casi cui dovrà essere applicata. Ne consegue che lo studio della casistica, coessenziale alla riflessione giuridica, è molto più che non semplice interpretazione.
Ciò è vero, ricorda il professor Cannata, tanto per gli ordinamenti giuridici della common law che per i sistemi della civil law, poiché in entrambi l’individuazione del principio applicabile alla situazione concreta non potrà mai prescindere dall’analisi strutturale di quest’ultima. è anche questo, nondimeno, che rinverdisce il problema della latitudine dei poteri del giudice nel momento in cui gestisce la casistica: un falso problema, tuttavia, come sottolinea il relatore, poiché l’opera d’indirizzo valoriale dovrebbe comunque essere esercitata dal Parlamento – al giudice, invece, il compito di trasformare la disposizione in norma.
Alla presentazione del professor Cannata, segue la prima sessione di lavoro, dal titolo “Scienza giuridica e interpretazione delle norme”. A presiedere è la professoressa Letizia Vacca, in sostituzione del professor Marrone.
Nella relazione di apertura, il professor Michael Rainer propone una diffusa e colta riflessione sull’ideologia codificatoria e sulla scientia iuris che anticipano la promulgazione dell’ABGB.
Realizzato da giuristi del calibro di Martini e Von Zeiller, il codice austriaco coniuga il rigore della tradizione romanistica all’aspirazione ideale giusnaturalista e illuminista. Nemico del dogma del ‘legalismo’ napoleonico e della completezza della codificazione, Von Zeiller mostra grande fiducia nella capacità dei giudici eruditi di proporsi come «medium interpretativi». Il relatore, nondimeno, diffida dal contrapporre in modo troppo netto l’esperienza codificatoria francese a quella austriaca poiché le difformità contestate vivono più sul piano dei proclami politici che non della concreta realtà operativa. Almeno nelle intenzioni dei loro ‘artigiani’, infatti, né la codificazione francese, né quella austriaca mortificano il ruolo del giudice, di cui viene piuttosto esaltata la vis interpretativa e non il ruolo meccanico (come invece vorrà la propaganda napoleonica).
A seguire, l’intervento del professor Salvatore Patti porta l’attenzione dei presenti su di una tematica di stringente attualità: il problema dell’interpretazione delle clausole generali. Queste ultime – osserva il relatore – non possono essere oggetto di una conoscenza predeterminata, poiché il Legislatore si limita a offrire uno schizzo di regolamentazione che dovrà poi essere attuata. L’assenza di un contenuto fisso – spiega ancora il professor Patti – potrebbe giustificare perché le clausole generali abbiano trovato tante difficoltà d’attuazione e perché siano così scarsi i contributi scientifici in merito; pone, soprattutto, il problema della prevedibilità decisionale del giudice: cosa impedisce all’operatore del diritto di forzare le maglie delle clausole generali per trasformare la propria interpretazione in arbitrio? Non esiste, ovviamente, una risposta univoca, se non un forte richiamo alla professionalità del giudice.
Prende poi la parola il professor Thomas Rüfner, che sposta l’attenzione sull’annoso problema dell’interpretatio giudiziale e della responsabilità (penale, civile e disciplinare) del magistrato. Portando l’esempio della duttile materia del danno all’immagine nell’ordinamento tedesco (§ 253 BGB), il relatore evidenzia preoccupazioni e rischi di un sistema in cui, di fatto, il giudice non si limiti a trovare (finden) il principio giuridico nella norma, ma lo inventi (er-finden) tout court.
Norme che regolino la responsabilità del magistrato per il perfezionamento contra legem del diritto, ovvero misure che rendano impugnabili le decisioni dei giudici in caso di errori particolarmente gravi, possono tuttavia rappresentare una valida difesa dell’ordinamento dagli abusi del potere giudiziario.
Agli interventi segue una breve discussione.
2. La seconda giornata di lavori si apre con la sessione intitolata “Scienza giuridica e interpretazione giurisprudenziale”, coordinata dal professor Bruno Schmidlin.
La relazione della professoressa Letizia Vacca mira innanzitutto a un chiarimento metodologico. Quando si parla di diritto giudiziale/giurisprudenziale, nei fatti, a prevalere è ancora un approccio puramente descrittivo, che non consente di penetrare in concreto i meccanismi di produzione/trasformazione del ius. Parlare di una ‘funzione creativa della giurisprudenza’ non implica sostituire una fonte del diritto a un’altra – come, in modo molto schematico, si usava contrapporre la tradizione della common law a quella della civil law – quanto osservare il metodo con il quale il diritto s’innova dal suo interno. Riconoscere alla giurisprudenza una valenza creativa, tuttavia, pone da subito un altro interrogativo: che tipo di diritto crea? La relatrice pone l’accento su quello che sembra essere il grande dilemma del diritto vivente: da un lato l’esigenza di soddisfare le aspettative di un corpo sociale in continua trasformazione; dall’altro il bisogno di assicurare coerenza alle decisioni assunte. Solo una solida preparazione tecnica e un comprovato rigore scientifico possono garantire la ‘prevedibilità’ delle sentenze, riducendo così i costi sociali legati all’alea di un giudizio arbitrario.
Segue l’intervento del professor Wojciech Dajczak, la cui attenzione si focalizza su un tema già caro all’Aristec: quello dell’interpretazione della sentenza e dell’influenza che sulla stessa esercita lo stile di redazione delle Corti. Il relatore procede con un’ampia disamina di casi che esemplificano le modalità operative della common law, del giudice tedesco e del giudice francese. Benché per vocazione solo la prima delle tradizioni giuridiche rinvenga nella sentenza un precedente applicabile a casi successivi, il professor Dajczak pone in evidenza come il richiamo al precedente, in modo più o meno esplicito, sia una costante di qualunque tradizione giuridica, senza che questo, tuttavia, sclerotizzi il diritto. La regola del precedente non rappresenta dunque una specificità della common law, ma vive come caratteristica propria della tradizione occidentale del diritto. A influenzare il suo uso, nondimeno, il diverso stile di redazione delle sentenze.
Dopo una breve pausa, i lavori riprendono con il professor Mario Serio, che propone una ricca disamina dell’ordinamento giuridico della common law. Il relatore mira a porre in evidenza tanto quelle che sono le specificità del sistema, tanto quegli elementi comuni alla tradizione giuridica occidentale che fanno oggi parlare di una convergenza operativa tra civil law e common law.
Il professor Serio ricorda uno dei grandi padri del diritto britannico, Blackstone, e la sua lettura organica della common law come di un bacino di valori equitativi e memoria. Quello del giudice è considerato un ruolo maieutico, una funziona oracolare, finché le riforme giudiziarie, che caratterizzano la common law sul finire dell’Ottocento, non segnano la fine della teoria dichiarativa, per riconoscere al giudice un ruolo ben più attivo che non quello di semplice ‘verbalizzatore del sommerso’. Il diritto, nei fatti, non è qualcosa di cristallizzato e iperuranico, ma vive nel complesso delle rationes di cui è espressione e denominatore comune.
In conclusione della seconda sessione, prende la parola il professor Luigi Garofalo, il cui intervento analizza invece l’uso del precedente nel contesto operativo della civil law. Il relatore focalizza la propria attenzione sull’ordinamento giuridico italiano, prendendo le mosse dal processo amministrativo: è, infatti, con le profonde trasformazioni procedurali introdotte dalla L. 205/2000 che il sintagma ‘precedente’ fa la sua prima comparsa a livello normativo. Il fatto che l’uso di tale termine non si accompagni a un’aggettivazione che funga da marcatore semantico (e individui dunque lo specifico referente), ha aperto la strada alla possibilità di richiamare nelle sentenze amministrative anche precedenti dottrinari, ponendo le basi per un proficuo e dinamico dialogo tra giurisprudenza e dottrina. Le potenzialità di una simile convergenza operativa, che il relatore evidenzia con acutezza, non hanno trovato tuttavia il modo di esprimersi compiutamente nella prassi, ma hanno subito piuttosto gli ulteriori e penalizzanti effetti dell’ennesimo intervento normativo. Con l’approvazione del Codice del Processo amministrativo, il cui art. 883 richiama l’articolo 1183 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, viene nei fatti esclusa anche dalla sentenza amministrativa “ogni citazione di autori giuridici”.
Il professor Garofalo osserva come il richiamo fatto dalle Corti al solo precedente giudiziale porti all’autoreferenzialità assoluta della giurisprudenza, che non incontra perciò incentivi a interessarsi della dottrina. La conseguenza immediata è l’acuirsi di una patologica conflittualità bipolare tra giudice e Legislatore, che non solo estromette la scientia iuris e azzera il momento sistematico a essa demandato, ma fa del precedente un «sottocodice» della crisi dei poteri dello stato.
Segue un diffuso dibattito sui temi in esame.
3. Dopo la pausa disposta per la colazione di lavoro, s’inaugura la terza sessione, dal titolo “Scienza giuridica e interpretazione delle sentenze delle corti europee”, presieduta dal professor Berthold Kupisch.
Prendono per primi la parola i professori Manuel J. Garcia Garrido e Federico F. De Bujan, che hanno proposto un’approfondita disanima dei principi comuni della tradizione giuridica europea, applicati dalle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea e delle modalità attraverso le quali quest’ultima opera nell’individuazione dei suddetti principi. In particolare, attraverso un’analisi casistica di diverse pronunce della Corte di Giustizia, nonché delle relative conclusioni degli Avvocati generali, viene evidenziato come un ruolo centrale nell’individuazione e nell’applicazione di un principio comune sia giocato, senza dubbio, dall’approfondimento storico dell’istituto giuridico considerato.
Segue l’intervento del professor Pietro Cerami, che ha a oggetto l’interpretazione delle sentenze delle Corti europee (Strasburgo e Lussemburgo). Il relatore evidenzia, in via preliminare, il sempre più marcato avvicinamento tra la giurisprudenza delle due Corti – testimonianza della progressiva attenzione che l’Unione europea ha mostrato nei confronti della Cedu – culminante, senza dubbio, nel riconoscimento tra le fonti del diritto dell’Unione anche dei principi elaborati dalla Corte di Strasburgo. Né minore attenzione alla giurisprudenza della Corte ora richiamata è dimostrata dalle magistrature dei singoli Stati dell’Unione europea, che sempre più spesso fanno riferimento ai principi ricavabili dalla Cedu per la soluzione delle controversie nazionali.
Interviene poi il professor Leonid Kofanov, con una disamina delle radici dell’azione di rivendica nel diritto romano e poi nella giurisprudenza della Corte Suprema di Arbitrato della Federazione Russa. La riflessione prende le mosse da una puntualizzazione del valore anche pubblicistico del verbo vindicare. La relazione prosegue con una descrizione puntuale di quella ch’è la tutela della proprietà nella Federazione Russa. Il professor Kofanov si premura d’isolare due momenti ben distinti: l’uno, quello del collettivismo sovietico, dominato da una netta prevalenza del regime pubblicistico di tutela; l’altro, corrispondente ai giorni nostri, dominato da un evidente paradosso: nella nuova Russia, nei fatti, l’esaltazione della dimensione privata della proprietà sembra escludere tout court la configurabilità di quest’ultima a livello statale.
A seguire, il professor Anton Rudokvas focalizza il proprio intervento sull’influsso che la giurisprudenza europea ha esercitato sulla prassi dei tribunali civili russi e in particolar modo sulla recente giurisprudenza della Corte Costituzionale della Federazione Russa. Su tutti, i tribunali commerciali hanno palesato una grande attenzione alla prassi e al dirimento delle controversie attuali, richiamandosi in modo esplicito alla dottrina tedesca per la soluzione delle questioni più complesse.
Interessante, in particolar modo, il recepimento di una nozione di proprietà tanto lata da ricomprendere anche i diritti – specificità, questa, che si riteneva propria del solo ordinamento tedesco.
Segue una breve discussione.
4. La quarta sessione prende il titolo di “Scienza giuridica e interpretazioni giurisprudenziali del diritto europeo”, ed è presieduta dal professor Carlo Augusto Cannata, in sostituzione del professor Philippe Remy.
Nella relazione di apertura dei lavori, il professor Jeroen Chorus analizza l’influenza della giurisprudenza delle Corti Europee sulle decisioni dei giudici nazionali. L’interrogativo che si pone è se la normativa europea possa trovare immediata e diretta applicazione per effetto dell’intervento del giudice nazionale.
La risposta positiva a tale quesito, anche laddove le parti in causa non vi facciano espressa richiesta, evidenzia l’importanza che la giurisprudenza della Corte di Giustizia sta assumendo nei singoli ordinamenti nazionali.
Segue l’intervento del professor Benedict Winiger incentrato sulle possibilità e le modalità di dialogo fra le giurisprudenze nazionali. Il relatore preliminarmente richiama l’attenzione sulle ricerche condotte a livello europeo sui principi comuni alle giurisprudenze dei singoli Stati Membri dell’UE.
Il professor Wininger passa, poi, a considerare in generale le difficoltà metodologiche sottese alle analisi volte a comparare, su base europea, le soluzioni giurisprudenziali concernenti singoli istituti o categorie giuridiche, che possono essere anche sconosciuti in alcuni degli ordinamenti considerati. A questo fine, senza dubbio, risulta centrale l’approfondimento in chiave storica volto ad individuare i concetti giuridici comuni a livello europeo, che hanno avuto un primo filtro e una prima consolidazione nelle grandi codificazioni, che hanno coinvolto i principali ordinamenti europei.
L’ultima relazione è svolta dal professor Mads Andenas, che ha posto in evidenza le modalità attraverso le quali i singoli ordinamenti nazionali si adeguano ai principi di derivazione comunitaria, scegliendo, in particolare, il peculiare angolo di osservazione costituto dal sistema della common law.
La vocazione ‘economica’ e consumeristica dell’Unione Europea ha chiaramente inciso prima di tutto su alcuni specifici settori del diritto, quale quello commerciale (in particolar modo bancario).
Gli effetti di uno ius di derivazione comunitaria sulla common law si possono efficacemente sintetizzare facendo riferimento a tre profili fondamentali: aumento del volume della normazione statale, per effetto del recepimento di direttive e regolamenti; applicazione diretta del diritto comunitario nelle corti; assimilazione osmotica del diritto comunitario nel sistema precedenziale in quanto ratio decidendi del singolo case.
A dettare le conclusioni del convegno è il professor Antonio Gambaro, che pone, come inevitabile, l’accento sul doppio binario scientia iuris-interpretatio.
Il relatore sottolinea come l’unica via di autolegittimazione per la scienza del diritto sia nel costante richiamo a un modello scientifico, ma se esiste una via per la riapertura del dialogo tra dottrina e prassi, questa non può risiedere nell’ermetismo con cui la scientia iuris tenta di proteggere se stessa, quanto solo con una partecipazione più aperta, viva e attenta alla contemporaneità.
Come chiosa la professoressa Vacca, nulla muta nel tempo come lo status metodologico con cui la scienza pensa il diritto, perché questa è pure l’unica condizione di adeguamento ai tempi e ai climi in cui essa opera.
[1]A cura della dott.ssa Sara Galeotti (§ 1-2) e del dott. Giovanni Guida (3-4), Università Roma Tre